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mercoledì 22 gennaio 2014

#3 6 juin 1944, l'apocalypse!

6 Giugno 1944, come dimenticarlo. Quel giorno sì che la mia vita è cambiata.

Come è cambiata a tutti, del resto.

Quel dannato martedì iniziò per me già in modo inusuale: a causa di un collega malato venni inviato infatti fuori sede, a compiere un rilievo sulla massicciata di una linea ferroviaria rurale. Cosa fuori dal normale tran-tran, certo, ma purtroppo non sarebbe stata quella l'anomalia.
La mattinata trascorse senza intoppi particolari. Come quasi tutti, eravamo tenuti all'oscuro di quanto stava accadendo sulla costa della Manica. Partii sulla Citroën di servizio assieme all'autista Rolànd senza nemmeno immaginare che non sarei mai più tornato.

Nel primo pomeriggio stavamo percorrendo la via delle colline per tornare verso la città quando, passato un dosso, ci accorgemmo che la strada e i campi erano pieni di persone che scendevano in ordine sparso dal dosso successivo. La cosa ci incuriosì, ma proseguimmo. Rolànd rallentò, ed aprì il finestrino per avvicinarsi a uno dei passanti e chiedergli cosa stesse succedendo. Io, sul sedile posteriore, non detti molto caso alla cosa, e continuai a consultare gli appunti e le carte del rilievo appena fatto.



L'urlo di Rolànd mi scosse, anche se impiegai qualche istante a realizzare la cosa: il passante vicino a cui aveva fermato la macchina si era avventato dentro il finestrino e lo stava aggredendo! Io urlai e mi irrigidii, mentre Rolànd faceva ripartire di scatto l'automobile. Ma muoversi era assai difficile perchè, intorno a noi, la strada era piena di persone che stavano ci stavano circondando.

Il primo pensiero fu quello di esser caduti vittima di un'imboscata Maquis, ma durò solo pochi istanti: giusto il tempo di mettere bene a fuoco quelle persone fuori dai finestrini, e realizzare (non posso usare il verbo capire) che non erano affatto...persone.

Il loro aspetto era orribile: erano sporchi di terra, laceri, con parti del corpo smembrate o del tutto mancanti. La pelle, lacera in vari punti, non sanguinava, ma scopriva ossa ed organi interni senza distinzione. I loro sguardi, per quelli che avevano occhi, erano vacui e vuoti, e si muovevano in modo lento e scoordinato verso l'automobile.

Fui questione di pochi istanti, anche se oggi quel ricordo mi appare come un lungo, interminabile fermo immagine. Tutto finì quando l'uomo (mi veniva ancora da chiamarlo così) che aveva attaccato Rolànd tornò alla carica e si lanciò di nuovo contro l'autista attraverso il finestrino ancora aperto. Urlammo entrambi, e le gomme fischiarono mentre la Citroën partiva di scatto, lanciandosi addosso al muro di corpi e facendone scempio.

Il ricordo di quegli istanti convulsi non lascerà mai la mia memoria: l'automobile che sbatteva contro corpi, cercando di liberarsi, i finestrini che si infrangevano, le urla di dolore di Rolànd, che cercava di manovrare per uscire dall'incubo mentre quel...mostro lo stava azzannando al braccio!

Sballottolato sul sedile posteriore, in un turbine di carte e pezzi di vetro rotto, mentre vedevo altre cose che un tempo erano esseri umani avvicinarsi alla macchina, per un istante pensai che era finita: mi avrebbero preso e azzannato, e sarei morto così. Poi, però, uno scossone mi fece finire contro qualcosa di duro: era la fondina della mia pistola, il vecchio revolver MAS 1892 fornito d'ordinanza ai genieri. Anche se il corso basico di tiro era tutta la mia esperienza con le armi, e risaliva a quattro anni fa, non avevo altra scelta che aggrapparmi a quelle conoscenze.

Ma per farlo, dovevo prima caricare la pistola. Iniziai a muovermi febbrilmente, nella concitazione delle urla e della macchina che strattonava, per aprire la fondina, prendere le cartucce e inserirle nel tamburo. Appena ebbi allentato la fibbia, i dieci proiettili caddero dalla tasca in cui erano riposti e si sparpagliarono sul sedile e sul pavimento, mescolandosi alle carte e alle schegge di vetro. Mi gettai disperatamente alla ricerca, sobbalzando ad ogni strattone e tormentato dal pensiero che quelle creature si stavano avvicinando per me.

I miei sforzi erano goffi e impacciati: ogni proiettile trovato e inserito nel tamburo mi costava fatica, tagli sulle mani e tempo, e non avevo che pochi istanti a disposizione. Quando infine sentii, per la prima volta in vita mia, una mano fredda e scarnificata toccarmi la caviglia, avevo caricato solo quattro colpi, ma non potevo più aspettare. Mi voltati di scatto ed esplosi due colpi contro l'essere che mi stava toccando: uno sulla mano, che la colpì a bruciapelo disintegrandola e  schizzandomi di putridi frammenti, uno alla testa deforme che si affacciava dal finestrino, frantumando la mandibola di quella che un tempo era stata una donna.

La cosa più scioccante, fu che l'essere non si fermò. Continuò ad agitare il moncherino come se potesse ancora avere una mano con cui ghermirmi, cercando di infilarsi con il corpo all'interno della vettura. Rimasi imbambolato dallo stupore per alcuni istanti, prima di essere scosso di nuovo dalle urla di Rolànd: il suo aggressore era appeso dentro la forma del finestrino, ma continuava ad azzannargli il braccio, che ormai era squarciato facendo uscire fiotti di sangue. Mi voltai e sparai gli ultimi due colpi sulla sua testa, che esplose in un disgustoso mare di frattaglie addosso a Rolànd.

I due aggressori erano stati fermati, ma la nostra situazione era comunque tragica: Rolànd era quasi esangue, al limite dello svenimento e l'automobile era ferma, accerchiata da quei mostri.

Fu allora che lo feci. Le mie azioni non furono dettate da cattiveria. Nè da codardia. Furono dettate dall'istinto di sopravvivenza.

Mi portai sul sedile davanti e, aperta la portiera, spinsi con un calcio il corpo esanime di Rolànd sulla strada. Immediatamente, quell'orda famelica gli fu addosso iniziando un disgustoso banchetto come cani su un osso da spolpare. Sentivo il vomito premere alla bocca dello stomaco, ma non avevo tempo per vomitare: con la strada finalmente libera, mi misi alla guida e partii immediatamente, lasciando Rolànd al suo tragico destino.

Ancora non riesco a capacitarmene, ma la mia mente non era un turbine di pensieri, rimorso, dolore. No, niente di tutto questo. Il fatto di essere ancora vivo era tutto ciò a cui pensavo, mentre facevo sfrecciare la Citroën davanti al cancello divelto di un cimitero di campagna, da cui ancora stavano uscendo cadaveri rianimati.


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