La guerra? No, non ha cambiato granchè la mia vita.
Avevo iniziato a lavorare da poco quando scoppiò. Nel'39, fresco di laurea, ero entrato nelle ferrovie come ingegnere. Da ultimo arrivato mi avevano messo alla sezione controlli: verificavamo i documenti sulla manutenzione dei ponti e delle massicciate. Un lavoro d'ufficio calmo e tranquillo, con solo sporadiche uscite per qualche ispezione.
Tra timbri e certificati le mie giornate scorrevano senza intoppo alcuno, e mi scoprii più che adatto a quel genere di vita, aspettando una promozione.
Alla dichiarazione di guerra fui mobilitato e, come sottotenente ingegnere, assegnato ai reparti del genio. Dopo un corso affrettato mi trovai assegnato al servizio tecnico nelle fortificazioni della linea Maginot. Mi occupavo prevalentemente di progetti di demolizione, per chiudere la via all'avanzata nemica; ironia della sorte, adesso il mio lavoro era predisporre piani per far saltare in aria quei ponti di cui prima certificavo la resistenza. Quei mesi di servizio nelle fortificazioni, però, non furono così diversi da prima: il mio ufficio non aveva più finestra, e al termine dell'orario mi ritiravo in camerate sotterranee invece di tornare a casa.
Ma sempre di documenti di resistenza strutturale e tabelle si trattava, per me, aspettando di esser chiamati all'azione.
Poi i tedeschi attaccarono davvero, e ancora una volta nulla accadde. Perchè l'attacco lambì soltanto la linea difensiva, e non nella sezione centrale in cui ero stazionato. Mentre la Francia veniva invasa, nel bunker regnava una calma irreale, resa nervosa dai bollettini che giungevano da dove si combatteva davvero. Tutto quello che facevo era ricontrollare i miei piani di demolizione e stare pronto, aspettando il momento in cui, con una semplice telefonata, avrei ordinato di far detonare le cariche esplosive.
Non feci mai quella telefonata. Nessuno dei piani di demolizione da me firmati fu mai attuato. La notizia della resa arrivò prima che la nostra fortificazione venisse attaccata, come altre, alle spalle dai Tedeschi ormai padroni della Francia. Molti dei miei commilitoni, quasi vergognandosi di non aver potuto combattere per la difesa della Nazione, scelsero di darsi alla macchia e formare bande per la lotta clandestina.
Io ed altri, invece, rimanemmo nei sotterranei ormai inutili e silenziosi, aspettando che qualcuno ci dicesse cosa fare.
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